venerdì 27 dicembre 2013

Distanze: verste, miglia...

a Boris Pasternak

Distanze: verste, miglia…
Ci hanno divisi, dispersi, costretti
a vivere dimessi, muti, buoni,
ai confini opposti della terra.

Distacco: strada, versta…
Mani scollate e disgiunte
hanno mandato al supplizio dei chiodi
ignari che il disastro è lega

d’estri e tendini. Di ossa. Volevano:
dissidio – hanno il disagio
di chi ha perso dimora.
                                      Muro e fosso.
Ci hanno divisi come aquile con-

giurate: miglia, strade, verste…
E non disperazione, ma – sconcerto.
Per asili e tuguri terrestri –
come orfani, smarriti.

E quale, quale Marzo è oggi?
Ci hanno smazzato. Come carte.


Marina I. Cvetaeva, Dopo la Russia, trad. Serena Vitale

martedì 17 dicembre 2013

La tragedia delle foglie

Mi destai alla siccità e le felci erano morte,
le piante in vaso gialle come grano;
le mia donna era sparita
e i cadaveri dissanguati delle bottiglie vuote
mi cingevano con la loro inutilità;
c’era ancora un bel sole, però,
e il biglietto della padrona ardeva d’un giallo caldo
e senza pretese; ora quello che ci voleva
era un buon attore, all’antica, un burlone capace di scherzare
sull’assurdità del dolore; il dolore è assurdo
perché esiste, solo per questo;
sbarbai accuratamente con un vecchio rasoio
l’uomo che un tempo era stato giovane e,
così dicevano, geniale; ma
questa è la tragedia delle foglie,
le felci morte, le piante morte;
ed entrai in una sala buia
dove stava la padrona di casa
insultante e ultimativa,
mandandomi all’inferno,
mulinando i braccioni sudati
e strillando
che voleva i soldi dell’affitto
perché il mondo ci aveva tradito
tutt’e due.

Charles Bukowski, Poesie (1955-1973)

sabato 14 dicembre 2013

Corrispondenze

Or che in fondo un miraggio
Di vapori vacilla e disperde,
altro annunzia, tra gli alberi, la squilla
del picchio verde.

La mano che raggiunge il sottobosco
E trapunge la trama
Del cuore con le punte dello strame,
è quella che matura incubi d’oro
a specchio delle gore
quando il carro sonoro
di Bassareo riporta folli mugoli
di arieti sulle toppe arse dei colli.

Torni anche tu, pastora senza greggi,
e siedi sul mio sasso?
Ti riconosco; ma non so che leggi
Oltre i voli che svariano sul passo.
Lo chiedo invano al piano dove una bruma
Esita tra baleni e spari su sparsi tetti,
alla febbre nascosta dei diretti

nella costa che fuma.

Eugenio Montale, Le occasioni

mercoledì 11 dicembre 2013

Vai pure avanti, tu, per la tua strada

Vai pure avanti, tu, per la tua strada,
la tua mano non la sfioro.
Ma troppo eterna era l'angoscia in me,
perché per me tu fossi una qualunque.

Il cuore tutt'un colpo disse: "Cara!"
Tutto io a te, a casaccio, ho perdonato,
senza saper di te nemmeno il nome! -
Oh, amami, tu, amami!

Poso lo sguardo sulle labbra - meandro,
sulla loro incrollabile alterigia,
sugli aspri aggetti delle sopracciglia:
e il cuore mi si piglia - un coccolone!

La veste è una corazza in seta nera,
la voce, appena roca, d'una zingara,
tutto mi piace da morire in te, -
perfino il fatto che non sei uno schianto!

Non sfiorirai, bellezza, con l'estate!
Non un fiore - uno stelo sei, d'acciacio,
più cattivo del male, più appuntito
d'un ago - da che isola importato?

Fai meraviglie col ventaglio, tu,
o con la canna da passeggio, -
in ogni tua venuzza ed ossicino,
nel garbo d'ogni tuo tristo ditino, 
la tenerezza della donna, c'è,
e l'insolenza del ragazzo.

Col verso respingendo ogni sogghigno,
rivelo a te e al mondo ciò che a noi
fu in te predestinato, sconosciuta
dalla fronte di Beethoven.

14 Gennaio 1915

Marina I. Cvetaeva, dal ciclo L'amica 

sabato 7 dicembre 2013

Malum coram te feci

Nicola sobbalzò nel sentire il rumore di qualcosa che cadeva; era soltanto il suo telefonino che vibrava, nessuno gli stava tendendo un agguato, nessuno lo stava spiando. Ignorò il suo rumoreggiare finché non si sfracellò contro il pavimento. Meglio così, si disse, non lo avrebbe più seccato. Erano due giorni di fila che Gaia lo tempestava di messaggi e chiamate a cui lui non aveva alcuna intenzione di rispondere. Neanche un segno di vita, non uno, nemmeno un sms per dirle di lasciarlo in pace. Un po’ si vergognava, però pensava che fosse meglio così e che prima o poi la ragazza si sarebbe stancata, tanto non c’erano altre possibilità e lui non aveva niente da dire.

Aveva provato a spiegarsi, quell’unica volta in cui avevano parlato seriamente della grande confessione, e ne era uscito qualcosa del genere:

«Allora, ci hai pensato?»

«Sì, non so…»

«Come non sai?»

«Forse non è il caso.»

«Mi stai dicendo di no?»

«Non ho detto di no, ho detto che è meglio di no.»

«Ma che cazzo significa che è meglio di no?»

«Meglio di no… non puoi capire.»

mercoledì 4 dicembre 2013

La spensieratezza è un caro peccato

La spensieratezza è un caro peccato,
caro compagno di strada e nemico mio caro!
Tu negli occhi m’hai spruzzato il riso
e la mazurca mi hai spruzzato nelle vene.
Poiché mi hai insegnato a non serbare l’anello,
con chiunque la vita mi sposasse.
A cominciare dalla ventura – dalla fine,
e a finire – ancor prima di cominciare.
A essere come uno stelo, ed essere come l’acciaio.
Nella vita, in cui così poco possiamo,
a curare la tristezza con la cioccolata
e a ridere in faccia ai passanti.

Marina Cvetaeva, Poesie

sabato 30 novembre 2013

E il sale?

[Con la bellezza di sette mesi e ventisette giorni (ma potrei sbagliarmi, perché lo sanno tutti che non so contare) questo si classifica come il racconto dal periodo di gestazione più lungo! E non vuol dire che sia un granché, ma non l'ho abbandonato per strada ed è assai, direi]


E l’amore, non è una faccenda divertente?
Tu baci, e le labbra sono come di latta.
Lo so, il mio sentimento è più che maturo
E il tuo sentimento non riesce a fiorire.
(S.Esenin)


Giancarlo si svegliò accerchiato dalla luce del sole e dal ronzio della televisione. Era in ritardo e si precipitò giù dal letto alla ricerca di qualcosa da mettere addosso; scese in cucina con una camicia stretta fra le mani e la cintura che penzolava dai passanti del jeans.

«Buongiorno, pa’.»

«Che fai alzato a quest’ora?» borbottò Giancarlo.

Suo figlio minore, capelli castani e un paio di orecchie a sventola, fissava la televisione appollaiato su una sedia. Era sempre il primo a svegliarsi, per correre a guardare i cartoni prima di andare a scuola. Marco non sopportava che suo padre e suo fratello lo privassero di quel piacere mattutino e diventava una lagna se lo disturbavano.

«Ti ho fatto il caffè.»

Mostrò al padre l’angoletto di tavolo su cui aveva spiegato un tovagliolo rosso. Era il suo modo per evitare i rimproveri: suo padre non avrebbe mai rinunciato alla tazza di caffè mattutino bell’e pronta. Quando Marco avvertiva un nervosismo particolare, poi, aggiungeva quattro biscotti e il piattino. Quella mattina si era limitato a una galletta.

Giancarlo miscelò lo zucchero con la camicia ancora sbottonata. Odiava essere in ritardo; calcolò che avrebbe perso altri dieci minuti per mettere in moto il taxi e andare a chiamare Carola.

«Spegni la televisione, vai a vestirti!»

Come se incitare il figlio a darsi una mossa lo facesse sentire a posto con la propria coscienza. Marco non si mosse di un millimetro; guardare Hello! Spank prima di andare a scuola era un’abitudine consolidata tanto quanto il lavarsi i denti. Giancarlo si pulì i baffi con un tovagliolo.

«Hai sentito? Spegni!»

Stavolta Marco, infastidito, cambiò il ginocchio su cui poggiava il mento.

«È presto ancora» obiettò.

Sull'andar fuori a prendere la posta

lo strano mezzogiorno
dove squadre di vermi vengono su pian piano
come spogliarelliste
a farsi violare dai merli

vado fuori
e da un capo all’altro della strada
le verdi armate sparano colore
come un sempiterno 4 luglio,
e anch’io ho l’impressione di gonfiarmi,
una specie d’ignoto prorompere, la
sensazione forse, che non c’è nessun
nemico
in nessun posto

e caccio una mano nella cassetta
e non c’è
niente: nemmeno una
lettera della società del gas per dire che
me lo taglieranno
ancora.

nemmeno due righe della mia ex moglie
per vantarsi della sua attuale
felicità.

la mano fruga la cassetta postale con una specie
d’incredulità ancora per molto tempo dopo che la mente
ha rinunciato.

non c’è neanche una mosca morta
là dentro.

sono uno sciocco, penso, avrei dovuto saperlo
così vanno le cose.

e rientro mentre tutti i fiori si sbracciano
per farmi contento.

niente? Chiede
la donna.

niente, rispondo, che c’è
a colazione?


Charles Bukowski, Poesie (1955-1973), Mondadori

giovedì 28 novembre 2013

Veglia

Cima Quattro il 23 dicembre 1915

Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore


Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.

G. Ungaretti

Poco, mi serve

Poco, mi serve.
Una crosta di pane,
un ditale di latte,
e questo cielo
e queste nuvole.

Velimir Chlebnikov, 47 Poesie facili e una difficile, Quodilibet

lunedì 18 novembre 2013

Promemoria n.3

I fatti sono questi: l'anatomia si presta molto bene a farmi da epifania, oppure la vista delle tavole del Sobotta scatena una depolarizzazione selvaggia sulle membrane delle mie sinapsi, dipende da come si vuol vedere il mondo.
Prendiamo il post di Settembre, mettiamolo da parte. C'è questa raccolta di racconti - o una storia a più capitoli (sì, a più capitoli, sul serio) non s'è capito bene - che mette tutti i propositi d'accordo. Se tutto va bene, potrei scriverne un capitolo al mese.


Current mood: Sinfonia di Leningrado, primo movimento

venerdì 8 novembre 2013

Ah sì, per tua disgrazia

Ah sì, per tua disgrazia,
invece di partire
sono rimasta a letto.

Io sola padrona della casa
ho chiuso la porta
ho tirato le tende.
E fuori i quattro canarini
ingabbiati sembravano quattro foreste
e le quattromila voci dei risvegli
confuse dal ritorno della luce.
Ma al di là della porta
nei corridoi bui, nelle stanze
quasi vuote che catturano
i suoni più lontani
i passi miserabili di languidi ritorni
a casa, si accendevano nascite 
e pericoli, si consumavano
morti losche e indifferenti.

E cosa credi che io non t'abbia visto
morire dietro un angolo
con il bicchiere che ti cadeva dalle mani
il collo rosso e gonfio
vergognandoti un poco 
per essere stata sorpresa
ancora una volta
dopo tanto tempo
nella stessa posizione nella stessa condizione
pallida tremante piena di scuse?

Ma se poi penso veramente alla tua morte
in quale letto d'ospedale o casa o albergo,
in quale strada, magari in aria
o in una galleria; ai tuoi occhi che cedono
sotto l'invasione, all'estrema terribile bugia
con la quale vorrai respingere l'attacco
o l'infiltrazione, al tuo sangue pulsare indeciso
e forsennato nell'ultima immensa visione
di un insetto di passaggio, di una piega di lenzuolo,
di un sasso o di una ruota
che ti sopravviveranno,
allora come faccio a lasciarti andar via?


Patrizia Cavalli, Il cielo

giovedì 7 novembre 2013

Ma prima bisogna liberarsi

Ma prima bisogna liberarsi
dall'avarizia esatta che ci produce,
che me produce seduta
nell'angolo di un bar
ad aspettare con passione impiegatizia
il momento preciso nel quale
il focarello azzurro degli occhi
opposti degli occhi acclimatati
al rischio, calcolata la traiettoria, 
pretenderà un rossore
dal mio viso. E un rossore otterrà.


Patrizia Cavalli, Poesie, Einaudi

giovedì 31 ottobre 2013

L'Isar non lo sa

L'Isar non lo sa. In confronto al Danubio e al Mississippi
l'Isar è solo un ruscello. Ma nemmeno un ruscello francese
presso il quale, al tempo di Luigi XIV, le contesse
si davano appuntamento con gli stallieri reali.
Un modesto ruscello tedesco che continua a ricordare le orge delle SS.
L'Isar non lo sa. Che in questi giorni scorre più
nel mio cuore che per Monaco.

Neppure Monaco lo sa. Che in questi giorni l'Isar
con tutti i suoi ponti è stato trasportato a Sarajevo
perché quella che ora passeggia lungo le sue rive sia più vicino possibile al mio cuore.
Giovedì restituirò l'Isar a Monaco.
Se io posso stare cinque giorni senza di lei (ma posso?)
anche Monaco potrà stare senza l'Isar!

1962


Izet Sarajlic, Chi ha fatto il turno di notte, Einaudi

Che fine ha fatto la spesa

La seconda volta, quel giorno, che la madre
L’ha chiamato, gli ha detto:
«Non ho più un grammo di forza. Non farei altro
Che starmene stesa a letto.»

«Hai preso le pillole del ferro?», ha voluto sapere lui.
Lo voleva sapere sul serio. Ogni giorno pregava,
senza speranza, che la cura del ferro funzionasse.
«Sì, ma mi fanno venire solo fame.
E qui non c’è niente da mangiare.»

Le ha ricordato che quella mattina
Avevano fatto la spesa per ore. Portato a casa
Ottanta dollari di provviste, da riempire
La credenza e il frigorifero.
«In quest’accidenti di casa non c’è altro da mangiare
Che mortadella e formaggini«, ha detto lei.
La voce le tremava di rabbia. «Niente!»
«E come sta la gatta? Come sta Kitty?»
Anche a lui tremava la voce. Doveva
Distrarla dal cibo; un argomento che
Non provocava altro che angoscia.

«Kitty», ha detto la madre. «Kitty, qua.
Kitty, Kitty. Non mi risponde, tesoro.
Non ne sono tanto sicura, ma mi sa
Che è finita nel cestello della lavatrice
Mentre mettevo dentro i panni. E prima che
Mi dimentichi: quella lavatrice fa
Un rumore strano. Mi sa che c’è qualcosa
Che non va, Kitty! Niente, proprio non
Risponde. Tesoro, ho tanta paura.
Ho paura di tutto. Aiutami, ti prego.
Poi torna pure a fare quello che stavi
Facendo. Qualsiasi cosa sia
Di così importante da giustificare
La pena che mi sono presa
Per metterti al mondo.»


R. Carver, Orientarsi con le stelle, minimum fax

martedì 22 ottobre 2013

Aiutomatto

[Ho sempre saputo che avrei scritto una cosa del genere. Di più, volevo scriverla da secoli, ma non avevo mai l'idea giusta, la motivazione, il coraggio. Per questo regalo a me stessa devo ringraziare l'ansa duodenale e il pancreas che sono stati la mia epifania joyciana. Alla fine non è niente di che, sempre le stesse cose, ma stavolta speriamo davvero di averla finita.]


Problema: il Nero muove e il Bianco matta.


«Io esco, vado a prendere delle verdure al supermercato», ho detto.

«D’accordo», ha detto lei, ancora un po’ intontita. Mi sono chiusa il portone di casa alle spalle e mi è scivolato un peso dal cuore, sono sollevata. Finalmente, finalmente svincolata, finalmente libera!

Ho fatto la mia mossa, miss Fischer, e ora tocca a te. Sei libera di agire come ti pare, io ho fatto quel che dovevo fare e mi sono comportata bene, una vera gentildonna, sissignori. Ti lascio la mossa finale, lo scacco. Perché ti ho fatta vincere, io, Kasparov dei poveri? Perché è giusto così.

Ho messo la partita nelle tue mani. Cosa aspetti, su, è un colpo troppo semplice, non puoi sbagliare. Non fare quella faccia, non provare a fare la samaritana con me, non è nella tua natura. Fa’ la tua mossa: tornatene a casa. Accidenti, non sto dicendo mica che non m’importa, che mi lascia indifferente… voglio dire che lo capisco.

venerdì 18 ottobre 2013

Poema della fine [14]

Pendio. Per pavidi sentieri
di pecore – al fragore
della città. Tre ragazze in salita.
Sfrontate. Ridenti. Di te

Ridono – col trionfale mezzogiorno
del ventre. Risate come
creste d’onda. Ridono per le tue
 maschili, superflue, ignominiose –

Lacrime. Risibili, visibili
anche nella pioggia. Due lune.
Due fiumi. Gemme infamanti
sul bronzo del campione.

Per le tue estreme
e prime – oh, continua! –
lacrime: perle
del mio diadema.

Non abbasso la testa.
Tra buio e rovesci
le fisso. Guardate, bevete,
marionette di Venere!

Il nostro legame è il più stretto
dei talami nuziali!
E il Cantico dei Cantici
lascia a noi la parola – a noi,

creature senza storia.
E Salomone si commuove: quanto
più alto del giacere insieme
è il comune pianto!

E nelle cave onde di nebbia
vai – la schiena curva, il passo uguale –
senza tracce, muto,

come affonda una nave.


Marina Cvetaeva, Dopo la Russia, trad. Serena Vitale

giovedì 17 ottobre 2013

Poema della fine [13]

Così si affilano i coltelli
Sulla pietra, così si spazza via
La segatura. Sotto i miei palmi
Qualcosa di fradicio, gonfio.

Dov’è la celebrata coppia: forza virile, secca forza!
Sotto il mio palmo fiotti
Di lacrime – non pioggia!

Di quali seduzioni ormai parlare?
Ogni mio avere – in lacrime!
Dopo i tuoi occhi-diamanti,
dopo questi torrenti nei palmi

nono resta più nulla
da perdere. E solo
carezze, carezze,
carezze sul volto.

Siamo tutte così noi Marine,
polacche: superbe.
Dopo i tuoi occhi d’aquila
Che grondano nelle mie mani…

Piangi? Caro,
prendo io tutto il peso! Perdona!
Qualcosa di caldo, di grande
– Salato, indifeso – nel palmo!

Tremende lacrime maschili:
mazzate sulla nuca! Piangi!
Ritroverai con altre
Il pudore smarrito.

Noi? Due gocce
Della stessa acqua…
Morta conchiglia –
Labbra su labbra.

Bagnate.
Di atrepice
Sanno.
«Ma dimmi, e domani
Quando

Mi sveglio?...»


M. Cvetaeva, Dopo la Russia, trad. Serena Vitale

domenica 13 ottobre 2013

Poesia n.38

Sì! Ora è deciso. Senza ritorno
Ho lasciato i campi nativi.
Ormai non più con l’alato fogliame
Canteranno su di me i pioppi.

La bassa casa senza di me si ingobbirà,
Il mio vecchio cane è da tempo crepato.
Nelle tortuose vie di Mosca
Dio ha deciso, si vede, che io morirò.

Amo questa città intricata,
Non mi importa se è flaccida o decrepita.
La sonnolenta Asia d’oro
Riposa sulle sue cupole.

E quando di notte splende la luna,
Quando splende… Lo sa il diavolo come!
Vedo, con la testa penzolante,
Per un vicolo verso la solita bettola.

Rumore e fracasso nell’orribile tana,
Per tutta l’intera notte, fino all’alba,
Io leggo poesie alle prostitute
E mi do all’alcool con i banditi.

Il cuore batte più spesso e più spesso,
E già io parlo a sproposito:
«Io sono, come voi, uno rovinato,
Ormai non posso più tornare indietro.»

La bassa casa senza di me si ingobbirà,
Il mio vecchio cane è da tempo crepato.
Nelle tortuose vie di Mosca
Dio ha deciso, si vede, che io morirò.

(1922)


S. Esenin, Poesie e poemetti, BUR


mercoledì 9 ottobre 2013

Poema della fine [12]

Fitta criniera sugli occhi
la pioggia. Colline. Alle spalle
i sobborghi. Siamo
fuori città.

C'è la città, ma non per noi.
Matrigna - non madre!
Bisogna fermarsi: oltre
non si può andare. Qui

bisogna crepare. Campi.
Steccati. La vita è sobborgo.
Costruite casette felici
con fiori, con orti!

Causa perduta
in partenza, signori:
chi è che resiste
così fuori mano?

E sotto i rovesci, gli scrosci
di un acquazzone impazzito,
ci separiamo: la prima cosa
che facciamo insieme!

Anche a Giobbe, Signore,
chiedevi tanto in cambio?
Ti è andata male: noi siamo
fuori città...

Fuori città! Oltre - bastioni
e barriere. La vita è dove
nulla si può. Prigione.
Quartiere di ebrei.

Erranti? È mille volte
più degno. Giacché
ai non serpenti la vita
è pogróm. Viva

di rinnegati soltanto,
di Giuda! Meglio
di un lebbrosario!
O all'inferno! Purché

non nella vita:
pascolo di agnelli
per il boia! Dormitorio
di apostati e marrani!

Straccio con le mie mani
il fogli di residenza
nell'esistenza. Vendetta
per lo scudo di Davide.

Ghetto. Fossato.
Non aspettarti pietà! Nel nostro, 
nel più cristiano dei mondi - 
ogni poeta è giudeo!


Marina Cvetaeva, Dopo la Russia, trad. Serena Vitale

martedì 8 ottobre 2013

Poema della fine [11]

Perdere tutto in un colpo:
niente di più pulito...
Sobborghi. Confini
di giorni, ferite,

carezze (carcasse
di corpi e di case).

Rispetto le villette vuote
come una vecchia madre.
Perché è già fare - svuotarsi!
Chi è deserto non può.

(Case per villeggianti
e amanti. Case di - assenti.)

Solo non trasalire 
quando il coltello apre.
Periferia: per i feriti 
squarcio di cicatrici.

Giacché - bando a parole
sontuose - l'amore è sutura,

non benda. Non scudo - sutura.
Ah, non chiedere aiuto!
È lo stesso filo che inchioda i morti
alla terra, il punto che mi lega

a te: e lo dirà il tempo:
se scempio, se doppio.

In ogni modo, caro: per orli, per bordi, per
cuciture, stracci, brandelli...
Di buono c'è che si è aperta
da sola: di colpo, senza sfilacci.

E nelle pieghe c'è carne
viva -non marcio.

Oh, non perde chi strappa!
È vittoria lo squarcio.
Sobborghi - divorzi
di fronti, memorie.

Vento di esecuzioni capitali.
Verdetto di periferie.

Oh, non perde chi scappa
quando si accende l'aurora.
Io ti ho cucito una vita intera -
di notte, senza imbastirla.
Non arrabbiarti se ora la trovi 
un po' storta... Sobborghi:

laceri bordi di anime
sfilate dal corpo,
scucite... Violento,
feroce è il passo

dei sobborghi. Lo senti, sull'argilla
fradicia: stivale del destino?
... I miei punti alla buona giudica tu,
caro, e il vivo filo tenace

perdona... Guarda:
l'ultimo lampione!

"Qui?" sguardo come
congiura. Sguardo di razze
inferiori. "Andiamo sulla montagna -
per l'ultima volta?"...



Marina Cvetaeva, Dopo la Russia, trad. Serena Vitale

domenica 29 settembre 2013

Per Tess

Giù nello Stretto le onde schiumano
come dicono qui. Il mare è mosso e meno male
che non sono uscito. Sono contento d'aver pescato
tutto il giorno a Morse Creek, trascinando avanti
e indietro un Daredevil rosso. Non ho preso niente.
Neanche un morso. Ma mi sta bene così. È stato bello!
Avevo con me il temperino di tuo padre e sono stato seguito 
per un po' da una cagnetta che i padroni chiamavano Dixie.
A volte mi sentivo così felice che dovevo smettere 
di pescare. A un certo punto mi sono sdraiato sulla sponda
e ho chiuso gli occhi per ascoltare il rumore che faceva l'acqua
e il vento che fischiava sulla cima degli alberi. Lo stesso vento
che soffia giù nello Stretto, eppure è diverso.
Per un po' mi son lasciato immaginare che ero morto
e mi stava bene anche quello, almeno per un paio 
di minuti, finché non me ne sono ben reso conto: Morto.
Mentre me ne stavo lì sdraiato a occhi chiusi, 
dopo essermi immaginato come sarebbe stato
se non avessi davvero potuto più rialzarmi, ho pensato a te.
Ho aperto gli occhi e mi sono alzato subito
e son ritornato a esser contento.
È che te ne sono grato, capisci. E te lo volevo dire.



Raymond Carver, Orientarsi con le stelle, minimum fax

lunedì 23 settembre 2013

Propositi di Settembre

Siccome il precedente e remoto post con la lista di cose da fare non è servito a 'na beneamata minchia, mi pare giusto riprovarci. 
Voglio dire, Settembre è tutto un farò questo, farò quello, studierò giorno per giorno, farò jogging tutti i mercoledì i venerdì e le domeniche al Santa Maria della Pietà, resisterò alla tentazione di giocare 24/7 a Pokémon X, darò Anatomia al primo appello. Minchiate.

Dunque vediamo:

- terminerò il racconto fermo a 3/4  Fatto!

- scriverò qualche cosa con più di due personaggi Bah, volendo

- troverò quel qualcosa che m'impedisce di sbrogliare la matassa di Ultime giaculatorie a Santa Brigida

- mi farò venire un'idea per quella roba su Juventus-Lecce En train de


Diciamo entro la fine del semestre.

venerdì 13 settembre 2013

Fa' la cosa giusta

(Un racconto, finalmente un racconto, ué!)



Ho detto a Lavinia che non sono fidanzato, ma non so perché l’ho fatto. Lavinia è una bella donna, anche se non quanto Claudia; si starà chiedendo chi sia la ragazza con cui mi ha visto l’ultima volta, mi ha guardato con una faccia… Sono in ritardo. Chiudo la porta dell’ufficio, do un’occhiata veloce al corridoio e scendo le scale.

Sono tutto sudato, accidenti se fa caldo. Ho lasciato l’auto nel parcheggio dietro l’ASL – un po’ più nascosta del solito – e faccio gli ultimi passi che mi separano da lei quasi di corsa. Apro lo sportello, mi siedo, chiudo gli occhi; mentre aspetto che l’aria condizionata si diffonda mi sbottono i polsini della camicia e arrotolo le maniche fino ai gomiti. Ho i vestiti appiccicati alla pelle e la faccia tutta sudata, i jeans mi stanno facendo morire. Sono quasi le nove. Fra cinque minuti dovrei essere in un’aula ad ascoltare uno dei medici del dipartimento di igiene pubblica parlare del depuratore che dà sul nostro litorale, uno dei soliti corsi di formazione cui nessuno presta mai attenzione. 


Faranno a meno di me per questa volta.

lunedì 9 settembre 2013

Un taglio di capelli

Tante di quelle cose impossibili sono già
successe in questa vita. Lui non ci pensa su
due volte quando lei gli dice di prepararsi:
fra poco gli taglierà i capelli.


Si siede sulla sedia nella stanza di sopra, 

quella che, scherzando, chiamano
la biblioteca. C'è una finestra lì
che dà una buona luce. La neve viene
giù là fuori come i fogli di giornale si raccolgono
attorno ai suoi piedi. lei gli avvolge un grande
asciugamano attorno alle spalle. Poi
tira fuori le forbici, il pettine e la spazzola.

È la prima volta che stanno soli

insieme da un bel pezzo - senza che nessuno
debba andare in qualche posto o abbia bisogno
di fare qualche cosa. A parte quando vanno
a letto insieme. Quel tipo di intimità.

sabato 7 settembre 2013

La sentenza

Ed è caduta la parola di pietra
Sul mio petto ancor vivo.
Non è nulla, vi ero preparata,
Ne verrò a capo in qualche modo.

Ho molto da fare, oggi:
Bisogna uccidere fino in fondo la memoria,
Bisogna che l'anima si pietrifichi,
Bisogna di nuovo imparare a vivere,

Se no... l'ardente stormire dell'estate,
Come una festa oltre la finestra.
Da tempo avevo presentito questo
Giorno radioso e la casa vuota.

1939. Estate.


Anna Achmatova, Requiem

venerdì 6 settembre 2013

Le ragazze, quelle che camminano

Le ragazze, quelle che camminano,
con stivali di occhi neri
sui fiori del mio cuore.
Le ragazze, che hanno abbassato le lance
sul lago delle proprie ciglia.
Le ragazze, che si lavano i piedi
nel lago delle mie parole.


Velimir Chlebnikov, 47 poesie facili e una difficile, Quodlibet

domenica 25 agosto 2013

Labirinto

- e ora qualche passo
da parete a parete,
su per questi gradini
o giù per quelli,
e poi un po' a sinistra,
se non a destra,
dal muro in fondo al muro
fino alla settima soglia,
da ovunque, verso ovunque
fino al crocevia,
dove convergono,
per poi disperdersi
le tue speranze, errori, dolori,
sforzi, propositi e nuove speranze.

venerdì 23 agosto 2013

Miscellanea

QUELLO CHE CONTA 

Un sacco pieno di monete
conta
ma anche una carezza
della notte cosa conta?
Conta il mistero segreto
la luna e le stelle.
E un cuscino?
Sì sì che conta mi fa dormire.

Sveva

IL MIO RITRATTO

Il nove luglio nacque il rumore
che faceva molta confusione
con movimento e paura,
l'incertezza eccola qua
sono io.

Luka


Grazie per la sedia
ed avermi dato una casa,
io sono piccolo, ma dentro
sono gigante che è sbocciato
da una briciola.

Christian


Arrivo in Egitto
e vorrei star lì per sempre
il giorno dopo
voglio ritornare a Milano.

Omar


La mia mamma moriva,
le chiedevo aspetta
sta arrivando il mio compleanno,
lei sorrideva e diceva:
avrai un compleanno bellissimo!

Nashua


(Ho scelto quelle che mi sono piaciute di più fra alcune scritte da bambini di quinta elementare. Erano specificate anche le nazionalità, ma sinceramente chissenefrega.)

domenica 18 agosto 2013

Autopsicografia

Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.

E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.

E così sui binari in tondo
gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore.

F. Pessoa

martedì 13 agosto 2013

Dove vai per le strade di Roma

Dove vai per le strade di Roma,
sui filobus o i tram in cui la gente
ritorna? In fretta, ossesso, come
ti aspettasse il lavoro paziente
da cui a quest'ora gli altri rincasano?
È il primo dopocena, quando il vento
sa di calde miserie familiari
perse nelle mille cucine, nelle
lunghe strade illuminate,
su cui più chiare spiano le stelle.
Nel quartiere borghese, c'è la pace
di cui ognuno dentro si contenta,
anche vilmente, e di cui vorrebbe
piena ogni sera della sua esistenza.
Ah, essere diverso - in un mondo che pure
è in colpa - significa non essere innocente...
Va, scendi lungo le svolte oscure
del viale che porta a Trastevere:
ecco, ferma e sconvolta, come
dissepolta da un fango di altri evi
- a farsi godere da chi può strappare
un giorno ancora alla morte e al dolore -
hai ai tuoi piedi tutta Roma...


Scendo, attraverso Ponte Garibaldi,
seguo la spalletta con le nocche
contro l'orlo rosicchiato della pietra,
dura nel tepore che la notte
teneramente fiata, sulla volta
dei caldi platani. Lastre d'una smorta
sequenza, sull'altra sponda, empiono
il cielo dilavato, plumbei, piatti,
gli attici dei caseggiati giallastri.
E io guardo, camminando per i lastrici
slabbrati, d'osso, o meglio odoro,
prosaico ed ebbro - punteggiato d'astri
invecchiati e di finestre sonore -
il grande rione familiare:
la buia estate lo indora,
umida, tra le sporche zaffate
che il vento piovendo dai laziali
prati spande su rotaie e facciate.



E come odora, nel caldo così pieno
da esser esso stesso spazio,
il muraglione, qui sotto:
da ponte Sulpicio fino sul Gianicolo
il fetore si mescola all'ebbrezza
della vita che non è vita.
Impuri segni che di qui sono passati
vecchi ubriachi di Ponte, antiche
prostitute, frotte di sbandata
ragazzaglia: impure traccie
umane che, umanamente infette,
son lì a dire, violente e quiete,
questi uomini, i loro bassi diletti
innocenti, le loro misere mete.




Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo

sabato 13 luglio 2013

Poema della montagna

POSTFAZIONE

La memoria ha cedimenti, qualcosa
appanna gli occhi: sette veli.
Io non ti ricordo - a parte.
Dov'era il volto - bianco vuoto.

Senza lineamenti. Una lacuna, tu:
tutto. (L'anima fitta di ferite -
un solo squarcio.) Marcare i dettagli
con il gesso - ai sarti!

La volta celeste fu creata intera.
Il mare è forse somma degli spruzzi?
Senza segni. In verità, particolare, tu:
tutto. È legame l'amore, non elenco.

Capelli scuri o chiari -
lo dica il tuo vicino - vede, lui.
Si divide la passione - a pezzi?
Non sono né macellaio né chirurgo.

Sei come un cerchio, pieno e intero.
Turbine intero, pieno stordimento.
Non ti ricordo separato
dall'amore. Segno di uguaglianza.

(Nei mucchi piumosi del sogno
- colline, cascate di schiuma! -
non io - nuova, strana all'udito,
la maestà del plurale: noi!)

In compenso, nella stretta, bassa
vita - "la vita così com'è..." -
io non ti vedo insieme
con nessuna:
                   Vendetta del ricordo.


Marina I. Cvetaeva, Dopo la Russia, traduzione di Serena Vitale

martedì 25 giugno 2013

Il treno della vita

Zanna o zampillo, raffica, baleno -
c'è ogni ora un treno per l'eterno.
Arrivo e so solo: stazione.
Non è il caso di sciogliere i fagotti.

Su tutto e tutti: occhi senza sguardo,
indifferenti. Fuori! in salvo!
in terza classe, via dall'afa soffocante
delle sale d'attesa per signore, dall'odore

di polpette riscaldate, guance
intorpidite... Più in là, anima,
avanti, pure nel fango, solo - via!

Via da questa fatale falsità:

di bigodini, pannolini,
calamistri arroventati,
capelli bruciacchiati,
cappelli, cuffiette,
eau-de-toilette,
di felicità volgari,
coniugali (klein wenig!)
- "Dov'è la caffettiera?" -
di biscotti, cuscini, matrone,
di balie, bagni, bonnes.

Non voglio aspettare l'ultima mia ora
in questa scatola di copri femminili.
Voglio che il treno rida e corra:
anche la morte non ha classe!

Allo sbaraglio, a rompicollo, a vuoto, - fino
a stordirsi! "Dio, questa gentaglia!..."
E al pellegrino che racconta: "All'altro mondo..."
senza sapere cosa, urlare: "Meglio!"

***

Piattaforma. Traversine. Ultimo ramo
tra le mani. Lo lascio. Tardi
per tenersi. Traverse. Rotaie. Di troppe
labbra esausta. E stelle.

Oltre la luce di tutti i pianeti 
ormai scomparsi - chi li ha mai contati? -
vedo soltanto: fine della corsa.
Non è il caso di sciogliersi in singhiozzi.



Marina Cvetaeva, Dopo la Russia, traduzione di Serena Vitale