[Nella speranza che la prossima cosa abbia una trama]
Le capitava sempre più spesso di
perdere la concentrazione. Se provava a spiegarlo, usava l’immagine delle onde
che alteravano la superficie del mare. Diceva che era come iniziare a scrivere
su un foglio partendo non dall’angolo in alto a sinistra ma dal centro, come se
le parole vi si disperdessero attorno, si allontanassero in varie direzioni
diverse, come se lo stesso foglio si increspasse nel momento in cui poggiava la
penna e la carta cominciasse ad oscillare, uno specchio bianco in cui le sue
parole sbiadivano e annegavano. Perdeva la capacità di sintesi; perdeva la
messa a fuoco. Per esempio non sapeva che cosa stesse facendo lì.
Se l’albero di Natale che faceva
capolino dallo scatolone rettangolare avesse preso un microfono e le avesse
domandato:
«Che stai facendo qui, Marta?»
Lei avrebbe risposto: «Non lo so
che cosa sto facendo.»
«Pensi di fermarti per molto?»
«Il tempo necessario a calmarmi.»
«D’accordo, ma sei agitata per
qualcosa?»
Questo riconduceva alle
increspature al centro del foglio. Prima di fissare i rami dell’albero di
Natale si trovava alla sua scrivania a controllare documenti, nella stanza che
assieme a Maride avevano sistemato perché entrambe potessero usarla quando
avevano bisogno di tranquillità. La scrivania era appartenuta al nonno di
Maride; di suo c’erano le carte, i libri, le penne lasciate senza tappo e
l’abat-jour comprata al supermercato. Aveva sentito il bisogno di alzarsi e si
era alzata. Aveva fatto due passi avanti coprendo la distanza che separava gli
angoli del tappeto – anche quello era suo. Di sua madre, per meglio dire. Era
stato un regalo gradito, senza quel tappeto dal gusto classico la stanza
sembrava un po’ ridicola, pretenziosa: non all’altezza di essere una stanza in
cui lei o Maride potevano chiudersi per trovare la giusta concentrazione. Con
quel tappeto si riusciva a credere che fosse uno studio vero e proprio,
nonostante fosse a fianco della cucina.