venerdì 27 dicembre 2013

Distanze: verste, miglia...

a Boris Pasternak

Distanze: verste, miglia…
Ci hanno divisi, dispersi, costretti
a vivere dimessi, muti, buoni,
ai confini opposti della terra.

Distacco: strada, versta…
Mani scollate e disgiunte
hanno mandato al supplizio dei chiodi
ignari che il disastro è lega

d’estri e tendini. Di ossa. Volevano:
dissidio – hanno il disagio
di chi ha perso dimora.
                                      Muro e fosso.
Ci hanno divisi come aquile con-

giurate: miglia, strade, verste…
E non disperazione, ma – sconcerto.
Per asili e tuguri terrestri –
come orfani, smarriti.

E quale, quale Marzo è oggi?
Ci hanno smazzato. Come carte.


Marina I. Cvetaeva, Dopo la Russia, trad. Serena Vitale

martedì 17 dicembre 2013

La tragedia delle foglie

Mi destai alla siccità e le felci erano morte,
le piante in vaso gialle come grano;
le mia donna era sparita
e i cadaveri dissanguati delle bottiglie vuote
mi cingevano con la loro inutilità;
c’era ancora un bel sole, però,
e il biglietto della padrona ardeva d’un giallo caldo
e senza pretese; ora quello che ci voleva
era un buon attore, all’antica, un burlone capace di scherzare
sull’assurdità del dolore; il dolore è assurdo
perché esiste, solo per questo;
sbarbai accuratamente con un vecchio rasoio
l’uomo che un tempo era stato giovane e,
così dicevano, geniale; ma
questa è la tragedia delle foglie,
le felci morte, le piante morte;
ed entrai in una sala buia
dove stava la padrona di casa
insultante e ultimativa,
mandandomi all’inferno,
mulinando i braccioni sudati
e strillando
che voleva i soldi dell’affitto
perché il mondo ci aveva tradito
tutt’e due.

Charles Bukowski, Poesie (1955-1973)

sabato 14 dicembre 2013

Corrispondenze

Or che in fondo un miraggio
Di vapori vacilla e disperde,
altro annunzia, tra gli alberi, la squilla
del picchio verde.

La mano che raggiunge il sottobosco
E trapunge la trama
Del cuore con le punte dello strame,
è quella che matura incubi d’oro
a specchio delle gore
quando il carro sonoro
di Bassareo riporta folli mugoli
di arieti sulle toppe arse dei colli.

Torni anche tu, pastora senza greggi,
e siedi sul mio sasso?
Ti riconosco; ma non so che leggi
Oltre i voli che svariano sul passo.
Lo chiedo invano al piano dove una bruma
Esita tra baleni e spari su sparsi tetti,
alla febbre nascosta dei diretti

nella costa che fuma.

Eugenio Montale, Le occasioni

mercoledì 11 dicembre 2013

Vai pure avanti, tu, per la tua strada

Vai pure avanti, tu, per la tua strada,
la tua mano non la sfioro.
Ma troppo eterna era l'angoscia in me,
perché per me tu fossi una qualunque.

Il cuore tutt'un colpo disse: "Cara!"
Tutto io a te, a casaccio, ho perdonato,
senza saper di te nemmeno il nome! -
Oh, amami, tu, amami!

Poso lo sguardo sulle labbra - meandro,
sulla loro incrollabile alterigia,
sugli aspri aggetti delle sopracciglia:
e il cuore mi si piglia - un coccolone!

La veste è una corazza in seta nera,
la voce, appena roca, d'una zingara,
tutto mi piace da morire in te, -
perfino il fatto che non sei uno schianto!

Non sfiorirai, bellezza, con l'estate!
Non un fiore - uno stelo sei, d'acciacio,
più cattivo del male, più appuntito
d'un ago - da che isola importato?

Fai meraviglie col ventaglio, tu,
o con la canna da passeggio, -
in ogni tua venuzza ed ossicino,
nel garbo d'ogni tuo tristo ditino, 
la tenerezza della donna, c'è,
e l'insolenza del ragazzo.

Col verso respingendo ogni sogghigno,
rivelo a te e al mondo ciò che a noi
fu in te predestinato, sconosciuta
dalla fronte di Beethoven.

14 Gennaio 1915

Marina I. Cvetaeva, dal ciclo L'amica 

sabato 7 dicembre 2013

Malum coram te feci

Nicola sobbalzò nel sentire il rumore di qualcosa che cadeva; era soltanto il suo telefonino che vibrava, nessuno gli stava tendendo un agguato, nessuno lo stava spiando. Ignorò il suo rumoreggiare finché non si sfracellò contro il pavimento. Meglio così, si disse, non lo avrebbe più seccato. Erano due giorni di fila che Gaia lo tempestava di messaggi e chiamate a cui lui non aveva alcuna intenzione di rispondere. Neanche un segno di vita, non uno, nemmeno un sms per dirle di lasciarlo in pace. Un po’ si vergognava, però pensava che fosse meglio così e che prima o poi la ragazza si sarebbe stancata, tanto non c’erano altre possibilità e lui non aveva niente da dire.

Aveva provato a spiegarsi, quell’unica volta in cui avevano parlato seriamente della grande confessione, e ne era uscito qualcosa del genere:

«Allora, ci hai pensato?»

«Sì, non so…»

«Come non sai?»

«Forse non è il caso.»

«Mi stai dicendo di no?»

«Non ho detto di no, ho detto che è meglio di no.»

«Ma che cazzo significa che è meglio di no?»

«Meglio di no… non puoi capire.»

mercoledì 4 dicembre 2013

La spensieratezza è un caro peccato

La spensieratezza è un caro peccato,
caro compagno di strada e nemico mio caro!
Tu negli occhi m’hai spruzzato il riso
e la mazurca mi hai spruzzato nelle vene.
Poiché mi hai insegnato a non serbare l’anello,
con chiunque la vita mi sposasse.
A cominciare dalla ventura – dalla fine,
e a finire – ancor prima di cominciare.
A essere come uno stelo, ed essere come l’acciaio.
Nella vita, in cui così poco possiamo,
a curare la tristezza con la cioccolata
e a ridere in faccia ai passanti.

Marina Cvetaeva, Poesie