[Con la bellezza di sette mesi e ventisette giorni (ma potrei sbagliarmi, perché lo sanno tutti che non so contare) questo si classifica come il racconto dal periodo di gestazione più lungo! E non vuol dire che sia un granché, ma non l'ho abbandonato per strada ed è assai, direi]
E l’amore, non è una faccenda divertente?
Tu baci, e le labbra sono come di latta.
Lo so, il mio sentimento è più che maturo
E il tuo sentimento non riesce a fiorire.
(S.Esenin)
Giancarlo si svegliò accerchiato dalla
luce del sole e dal ronzio della televisione. Era in
ritardo e si precipitò giù dal letto alla ricerca di qualcosa da mettere
addosso; scese in cucina con una camicia stretta fra le mani e la cintura che
penzolava dai passanti del jeans.
«Buongiorno, pa’.»
«Che fai alzato a quest’ora?» borbottò
Giancarlo.
Suo figlio minore, capelli castani e un
paio di orecchie a sventola, fissava la televisione appollaiato su una sedia.
Era sempre il primo a svegliarsi, per correre a guardare i cartoni prima di
andare a scuola. Marco non sopportava che suo padre e suo fratello lo
privassero di quel piacere mattutino e diventava una lagna se lo disturbavano.
«Ti ho fatto il caffè.»
Mostrò al padre l’angoletto di tavolo su
cui aveva spiegato un tovagliolo rosso. Era il suo modo per evitare i
rimproveri: suo padre non avrebbe mai rinunciato alla tazza di caffè mattutino
bell’e pronta. Quando Marco avvertiva un nervosismo particolare, poi,
aggiungeva quattro biscotti e il piattino. Quella mattina si era limitato a una
galletta.
Giancarlo miscelò lo zucchero con la
camicia ancora sbottonata. Odiava essere in ritardo; calcolò che avrebbe perso
altri dieci minuti per mettere in moto il taxi e andare a chiamare Carola.
«Spegni la televisione, vai a vestirti!»
Come se incitare il figlio a darsi una
mossa lo facesse sentire a posto con la propria coscienza. Marco non si mosse di un
millimetro; guardare Hello! Spank prima di andare a scuola era un’abitudine
consolidata tanto quanto il lavarsi i denti. Giancarlo si pulì i baffi con un
tovagliolo.
«Hai sentito? Spegni!»
Stavolta Marco, infastidito, cambiò il
ginocchio su cui poggiava il mento.