Un amore felice. È normale?
È serio? È utile?
Che se ne fa il mondo di due esseri
che non vedono il mondo?
Innalzati l’uno verso l’altro senza
alcun merito,
i primi qualunque tra un milione, ma
convinti
che doveva andare così – in premio di
che? Di nulla;
la luce giunge da nessun luogo –
perché proprio su questi, e non su
altri?
Ciò offende la giustizia? Sì.
Ciò infrange i principi accumulati con
cura?
Butta giù la morale dal piedistallo? Sì,
infrange e butta giù.
Guardate i due felici:
se almeno dissimulassero un po’,
si fingessero depressi, confortando così
gli amici!
Sentite come ridono – è un insulto.
In che lingua parlano – comprensibile all’apparenza.
E tutte quelle loro cerimonie,
smancerie,
quei bizzarri doveri reciproci che s’inventano
–
sembra un complotto contro l’umanità!
È difficile immaginare dove si finirebbe
se il loro esempio fosse imitabile.
Su cosa potrebbero contare religioni,
poesie,
di che ci si ricorderebbe, a che si
rinuncerebbe,
chi vorrebbe restare più nel cerchio?
Un amore felice. Ma è necessario?
Il tatto e la ragione impongono di
tacerne
come d’uno scandalo nelle alte sfere
della Vita.
Magnifici pargoli nascono senza il suo
aiuto.
Mai e poi mai riuscirebbe a popolare la
terra,
capita, in fondo, di rado.
Chi non conosce l’amore felice
dica pure che in nessun luogo esiste l’amore
felice.
Con tale fede gli sarà più lieve vivere
e morire.
Wislawa Szymborska, La gioia di scrivere, 2009, Adelphi, trad. Pietro Marchesani